Simulazioni e medicina del territorio

Fabrizio Valcanover
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Territorial medicine has specific characteristics and so do simulations: similarities and differences, plus possible implications for teaching methodology

Introduction

L’uso delle simulazioni in campo medico nasce da un’intuizione di HD Barrows, neurologo e docente universitario americano presso la University of Southern California, alla fine degli anni Sessanta, al capezzale di un paziente. Sempre nello stesso periodo, e sempre presso la stessa università, veniva progettato il primo simulatore paziente controllato da computer, Sim One. Negli anni Ottanta D. Gaba guidò la progettazione di CASE (Comprehensive Anesthesia Simulation Environment), un manichino complesso inserito in una sala operatoria ospedaliera.

These two strands have developed over the years creating different specificities depending on the environment in which they have been used. The initial debate on ‘structured patient’ and ‘simulated patient’ has become more complex: the environment in which simulation is used has become relevant especially in declining the use of methodology and technological tools which are differently subdivided according to the field of action.

In quest’articolo vogliamo concentrarci sulle specificità dell’approccio territoriale, non in contrapposizione con altri ambiti, ma individuando condivisioni e differenze, con implicazioni sulla metodologia didattica e su attori e strumenti in gioco.

Specificità dell’ambiente di diagnosi e cura territoriale

La sociologia della medicina, a cominciare dagli scritti pionieristici di Parsons T (1957) e Freidson E (1960), si è occupata non solo di medicina in generale, ma anche e soprattutto dell’ambiente in cui veniva esercitata e di come questo modificasse la stessa gestione clinica dei pazienti. Freidson sosteneva che il paziente del territorio quando va dal medico molto spesso si presenta “preparato” con un’idea di diagnosi e terapia in testa già formulate. Il paziente nel territorio ha il controllo di quali delle indicazioni del medico (o del sanitario o dell’educatore) seguire, se fare o non fare accertamenti, se andare da specialisti, se attenersi o meno alla terapia. Si consulta inoltre con amici, parenti, persone che reputa colte dal punto di vista sanitario, oltre all’onnipresente dr. Internet.

Tutto questo implica non tanto una differenza valoriale di approccio umanitario ma una differenza precisa di campo d’azione e di metodo, anche nella formazione. (McWhinney IR, 1993; Salvestroni F, 1968) (McWhinney IR, 1993; Salvestroni F, 1968)

Ad esempio, la distinzione tra hard e soft skills, se utile come base didattica, ci parrebbe insufficiente per la pratica delle simulazioni territoriali, quando si entra nel merito di alcune necessità didattiche che permettano al sanitario di garantire la sicurezza, la presa in carico e il processo di diagnosi e cura del paziente.

Simulazioni e territorio

Sebbene la nostra esperienza di simulazioni riguardi anche percorsi didattici per diversi professionisti della salute, ad esempio infermieri, studenti di medicina, ed altri operatori sanitari, in queste riflessioni il focus è centrato sui medici di medicina generale per i quali abbiamo condotto moltissime simulazioni negli ultimi 15 anni.

Alcune caratteristiche delle simulazioni territoriali

Innanzitutto, va considerato che il territorio è un ambiente per il quale è necessario un approccio olistico. Senza entrare in dettaglio sul concetto di ‘olismo’, , noi intendiamo che la didattica rivolta a chi lavora o sta per lavorare sul territorio deve essere fatta ponendo l’attenzione contemporaneamente su aspetti clinici, gestionali e relazionali, concentrandosi a seconda del contesto e dell’aula sugli aspetti che emergono come prioritari o critici.

Nelle prime simulazioni, soprattutto per chi ha scarsa familiarità con le simulazioni, i tre aspetti devono essere trattati con attenzione, soprattutto quello relazionale che va inserito gradatamente. Sul territorio, infatti, più facilmente i pazienti portano nella consultazione i valori, le credenze e il “buon senso” della comunità in cui vivono. Molto spesso anche i professionisti e gli operatori sanitari territoriali fanno parte della stessa comunità.

Il concetto di fedeltà nelle simulazioni territoriali

Il tradizionale basso uso di tecnologia sul territorio permettere di concentrarsi su due aspetti critici che sono il percorso logico (clinico) del professionista e la gestione intersoggettiva dei vissuti di salute e malattia.

In education, since the very beginning of the simulation practice, we have raised the issue of realism or ‘adherence to reality’. Very often participants complain that “if I had had a real patient in front of me” it would have been different. This statement often prompted us to present the simulation to the learners as “a bridge between theoretical and practical learning”, emphasizing the similarity with climbing gyms for those learning to climb and the dimension of reality. It is clear that as ‘faithful’ as simulation is, the practice in the field, guided by a tutor, is different.

Il concetto di fedeltà è molto importante nell’individuazione e nelle pratiche di evitamento degli errori, soprattutto in particolari situazioni critiche, laddove la sicurezza del paziente può correre gravi rischi.

Il termine fedeltà della simulazione è tradizionalmente utilizzato per definire il grado con cui un simulatore replica la realtà. Sebbene la letteratura non trovi unanime consenso, possiamo declinare la fedeltà in tre dimensioni:

1 – fedeltà di materiale/attrezzatura, riguarda il grado con cui il simulatore e le attrezzature duplicano le apparenze e le sensazioni del mondo reale

2 – fedeltà di ambiente, riguarda il grado con cui il simulatore e l’ambiente simulato riproducono esperienze di movimento, visuali, uditive, cioè in generale esperienze di tipo sensoriale.

3 – fedeltà psicologica, dipende da quanto il discente percepisce che la simulazione è un surrogato credibile per quel determinato addestramento. In altre parole, la fedeltà psicologica include tutti quegli aspetti che determinano la possibilità che chi viene addestrato percepisca che le proprie prestazioni nel simulatore si riprodurranno nella vita reale.

Raggiungere un alto livello di fedeltà è forse più facile in quelle situazioni critiche, come quelle che spesso si presentano nel pronto soccorso, in cui la fedeltà di attrezzature e di ambiente è riproducibile e ricreabile. Diversamente, in una situazione domiciliare, in cui diversi operatori sanitari intervengono per una crisi psichiatrica, ad esempio, ma anche per una emergenza medica, in presenza magari di forze dell’ordine e altri attori, è molto più difficoltoso ricreare un ambiente ad alta fedeltà. Quello che è critico nell’ambito territoriale è l’interazione tra le diverse figure che intervengono: i vicini, i curiosi, addirittura il parroco in alcuni contesti, che interagiscono con il paziente. Questo rende l’ambiente di lavoro spesso imprevedibile e comunque turbolento.

Abbiamo, quindi, pensato di inserire un altro indicatore che vada equilibrato con gli altri, e che risulta più facilmente articolabile della “fedeltà psicologica” ma che con essa può essere integrato. Il concetto è quello che noi chiamiamo “intensità relazionale”. Questa si differenzia dalle fedeltà psicologica, nel senso che descrive solo un’interazione tra esseri umani, o gruppi di esseri umani. Ad esempio, in una simulazione in situ ospedaliera, in pronto soccorso, la presenza di familiari può comportare una media o alta “intensità relazionale“, a prescindere dall’utilizzo di tecnologie altamente fedeli. L’intensità relazionale prende in considerazione sia l’interazione con il paziente, ma anche i vissuti soggettivi del sanitario e la necessità di una certa consapevolezza di questi ultimi. Allargando il concetto di Schon di riflessione durante l’azione, si potrebbe dire si considera il livello di consapevolezza emotiva e affettiva durante l’azione. L’intensità relazionale dipende, quindi, dal contesto in cui si svolge il processo di diagnosi e cura ed è molto legata, in ambito didattico, alle caratteristiche del discente. Può essere trattata in diversi modi, ma è sempre utile, se non necessario, definire la presenza e il grado.

Le soft skills nella simulazione territoriale

Un altro concetto su cui soffermarsi è quello delle soft skills (o non technical skills) che di solito si riferisce alle componenti psicologiche (ed anche sociali) e relazionali. Tuttavia, se si accetta la complessità della mente, come proposta dalle neuroscienze negli ultimi venti anni, anche con punti di vista diversi tuttora in discussione le soft-skills appaiono complesse da insegnare e da valutare. Risulta ancora più complesso nell’ambito della medicina territoriale, dove la gestione della relazione risulta incarnata nella clinica e nella gestione del processo di cura stesso.

Inoltre, le simulazioni complesse territoriali necessitano di un approccio che tenga conto non solo del ragionamento clinico ma anche almeno parzialmente dei vissuti del professionista che interferiscono, nel bene e nel male, con la clinica e la gestione. Questo è più rilevante nelle situazioni territoriali complesse (malato terminale, RSA, ecc.)

In the territory, simulations can be done with simple devices. Very often, it is much more useful and functional instead to have a “live simulator,” or a well-trained actor.

It therefore becomes necessary, along with the training of simulation facilitators (with different types of skills related to the type and context of simulation) to design the training and “maintenance” of a group of simulators or actors.

Conclusioni

La velocissima espansione dell’utilizzo della metodologia delle simulazioni nel mondo ha anche allargato gli ambiti di implementazione ed ha fatto nascere la necessità di una “specializzazione” metodologica a seconda del contesto. Esistono, infatti, specificità contestuali che rendono necessario differenziare il metodo a seconda dell’ambiente di utilizzo.

Si apre a nostro avviso una nuova era per il mondo delle simulazioni, laddove esistono percorsi comuni sia nel metodo sia nella formazione di chi ci lavora.

Diventa, infine, indispensabile che vengano riconosciute istituzionalmente, e formate adeguatamente, nuove figure professionali, che ora lavorano senza ruolo e riconoscimento, come quella dei simulatori/attori.

BIBLIOGRAFIA

Parson T (1957). Sociologia della Medicina, Feltrinelli, Milano 1977.

Freidson E. Client control and medical practice. (1960) Trad. it: Il controllo del cliente e la pratica professionale del medico, in: Maccaccaro A ed altr (a cura di) Sociologia della medicina Feltrinelli Milano 1977

McWhinney I.R. Why we need a new clinical method. Center for Studies in Family Medicine, Dep. of Family Medicine, The University of Western Ontario, London, Ontario, Canada, Scand J Prim Health Care 1993: I I: 3-7

Salvestroni F., “Il medico della persona” Vallecchi Firenze 1968

D. Nestel, M. Bearman. Simulated Patient MethodologyTheory, Evidence and Practice -, published 2015 John Wiley & Sons Ltd, The Atrium, Southern Gate, Chichester, West Sussex, PO198SQ, UK

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Norma Sartori
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Norma Sartori

medico di medicina generale/General Pratictioner, turor in MG/trainer at Vocational Training, docente e formatore View all Posts

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