Piena di entusiasmo e di idee, Silvia Bressan racconta come la formazione e la ricerca in simulazione siano parte della sua vita professionale.
Pediatra con un forte interesse per il trauma e l’emergenza. Una research fellowship in Australia e poi in Israele. Tanti progetti scientifici nazionali e internazionali e una folta rete di contatti con istituzioni e ricercatori esteri. Professoressa associata presso l’Università di Padova dove anima il gruppo di simulazione SIM Dream che ha contribuito a fondare. Da anni dedica gran parte del suo tempo alla simulazione, dalla formazione alla ricerca, pubblicando su riviste internazionali. Silvia Bressan è l’unica donna del Tavolo ministeriale sulla simulazione. L’abbiamo chiamata al telefono e le abbiamo posto 10 domande + 1 per conoscerla meglio. Seria e allo stesso tempo sagace nelle risposte, Silvia si definisce una «research puppy» e ci ha ispirato con quanto racconta sui colleghi che apprezza.
1. SZ: partiamo da una domanda semplice per rompere il ghiaccio: preferisci la clinica, la docenza o fare ricerca?
E questa la chiamate una domanda semplice? Oddio, cosa mi devo aspettare dalle domande successive? Diciamo che faccio fatica ad immaginarmi senza una di queste anime, ma sono prima di tutto un medico. Poi, per quanto riguarda la clinica preferisco le urgenze pediatriche e per quanto riguarda la docenza vince la didattica in simulazione! Per la ricerca, da anni mi occupo di ricerca clinica, e anche se nella ricerca in simulazione mi sento una “research puppy”, l’entusiasmo è altissimo.
2. SZ: Come combini la tua professione con l’essere mamma?
Con tanta fatica condita con un substrato di senso di colpa, che si calma quando penso che se non facessi la professione che faccio sarei ancora piu insopportabile…e poi con l’aiuto fondamentale del santo uomo con cui condivido da anni gioie e dolori e che è un bravissimo papà!
3. SZ: Qual è il tuo limite nelle relazioni professionali?
Magari avessi solo un limite in questo ambito!! Ne ho un pochino troppi per essere elencati. Quando posso ammetto che “mi nascondo” per cercare di portare a termine le troppe cose che ho sempre in sospeso. E qui si aprirebbe il grande capitolo sull’eccesso di entusiasmo e l’efficienza lavorativa. Ma vi prego non fatemi domande su questo, “altrimenti vi rispondero’ solo in presenza del mio psicologo” ☺
4. SZ: Prima, ti sei definita una simulation «research puppy». Cosa significa?
Significa che, sebbene mi occupi da molti anni di ricerca clinica, mi sono affacciata solo da qualche anno alla ricerca in simulazione, per cui mi sento un po’ come un cucciolo, pieno di entusiasmo e di idee, vivace, ma che ha bisogno di crescere e maturare in questo campo. Per questo è stato fondamentale lavorare da subito in progetti multicentrici con colleghi e amici nazionali e internazionali con grande esperienza nel campo.
5. SZ: Un ricercatore è uno che si fa delle domande e cerca le risposte alle sue domande. Tu che domande ti fai?
Beh, domande di tutti i tipi. E la risposta anche a domande semplici si traduce spesso in una “ricerca”, anche al di fuori dell’ambito medico. Per quanto riguarda la ricerca in simulazione le due principali domande a cui sto e stiamo cercando di rispondere con i colleghi ed amici parte del gruppo sono: (1) come poter migliorare la gestione dell’arresto cardiaco pediatrico (dimostrato che la gestione spesso non segue le raccomandazioni delle linee guida) e, (2) come utilizzare al meglio la realtà virtuale per insegnare la gestione delle urgenze pediatriche. Alcuni lavori hanno già visto la luce, mentre altri sono in progress e speriamo saranno presso pubblicati.
6. SZ: Come ricercatrice, pensi sia più importante avere un ottimo «impact factor» o «influence factor»?
Mi permetto di aggiungere un parametro fuori gli schemi che penso essere molto importante, ovvero il “quality/satisfaction factor”. Con questo intendo l’equilibrio tra la capacità di produrre ricerca rilevante e di elevata qualità e di trarre soddisfazione dai progetti che si conducono o a cui si partecipa. Ci sono dei casi in cui l’esito e la resa di un progetto può non essere pari all’atteso in tremini di qualità e rilevanza, ma elementi quali il buon lavoro di squadra, la crescita professionale, il superamento di alcuni particolari ostacoli o sfide, o altri ancora, sono fonte di grande soddisfazione per il ricercatore.
7. SZ: Se potessi cancellare qualche esperienza negativa della tua carriera, quale sarebbe?
Di pancia direi alcuni progetti in cui sono stata coinvolta, che sono stati estremamente faticosi da concludere ed estenuanti a causa di una pianificazione/programmazione non adeguata. Poi, però, se ci penso meglio, cancellare queste esperienze mi priverebbe di importanti insegnamenti che ho potuto trarre durante questi faticosi percorsi e che si sono rivelati preziosi per il mio lavoro successivo. È vero che ci possono essere dei metodi più efficaci per apprenderli, ma chissà come sarebbe andata se queste esperienze non ci fossero state…fondamentale è anticipare possibili sfide, simulando diversi scenari, e accertarsi dell’expertise e della professionalità delle persone che ricoprono ruoli chiave all’interno di un progetto.
8. SZ: E se invece oggi dovessi ricominciare da zero, quali sarebbero le prime 3 cose che faresti?
Praticherei uno sport di squadra. Vorrei imparare tramite la simulazione già all’università. Anticiperei l’esperienza all’estero già durante gli studi universitari
9. SZ: Come vedi la simulazione in Italia nel futuro??
Imprescindibile e in crescita, quale strumento fondamentale per assicurare assistenza di elevata qualità e garantire la sicurezza dei pazienti. Penso che ormai i tempi siano maturi per un riconoscimento formale e un potenziamento di questa modalità di formazione anche nei contesti che hanno meno investito a livello istituzionale. Di fianco ad eccellenti centri di simulazione italiani, ci sono delle realtà in cui la simulazione è condotta e praticata da anni senza un formale riconoscimento del carico didattico dei facilitatori, e/o investimento sulle risorse che sarebbero davvero necessarie a rispondere ai reali bisogni formativi. L’istituzione per la prima volta di un Tavolo di Lavoro ministeriale dedicato alla simulazione, penso sia un importante catalizzatore per promuovere e favorire l’utilizzo di simulazione di qualità in modo più capillare nel nostro Paese.
10. SZ: Ecco, sei l’unica donna che siede al Tavolo di Lavoro appena istituito dal Ministero sulla Simulazione in Sanità. Ci sarà un perché. Qual è secondo te?
Beh, ci voleva qualcuno che salvasse il Tavolo di Lavoro da potenziali attacchi di comitati per le pari opportunità e poi i puppies, in qualsiasi ambito, sono un po’ irresistibili! ☺
10+1. SZ: La domanda da «zine», insomma la domanda scomoda: tre nomi di colleghi che apprezzi particolarmente?
Domanda scomodissima, o forse no… Ho avuto la fortuna di lavorare con moltissimi colleghi più esperti, più maturi o più giovani in diverse parti del mondo e ridurre i nomi a tre vuol dire veramente fare un torto a qualcuno, anche perchè ci sono colleghi che apprezzo molto per aspetti anche molto diversi.
Ci sono però tre categorie di colleghi che apprezzo particolarmente:
– I mentor, quelli veri. Coloro che ti insegnano e ti guidano con professionalità, onestà e rispetto, con il loro esempio e la loro umanità, che gioiscono genuinamente dei tuoi successi perchè sanno che sono anche i loro.
– I colleghi curiosi ed entusiasti, per davvero, perchè anche dopo le brutte giornate saranno sempre e comunque in prima linea per i pazieni, per la formazione o per la ricerca e riusciranno a contagiare chi è attorno a loro permettendo i cambiamenti e le innovazioni necessarie per migliorare le cure.
– I mentees, i giovani colleghi a cui si fa da mentor a vari livelli, perchè dai più giovani si può imparare tanto, molto più di quello che pensavo. Perchè l’impegno, l’onestà professionale, l’affidabilità, la determinazione non vanno dati per scontati, ma devono essere valorizzati e coltivati.
SZ: Grazie mille per il tuo tempo, Silvia.
Ciao e buon lavoro.